giovedì, febbraio 21, 2013

Ricercatori nella nebbia

E' stato bello trascorrere ieri e oggi sotto i riflettori dei media, specialmente per vedere diffusa una ricerca che ho ideato e condotto negli ultimi due anni.
Posso sottolineare la serietà, la professionalità e la simpatia di tutti i giornalisti con cui sono entrato in contatto in questi giorni. Parlando di un tema che ben si prestava a deragliare completamente su un sensazionalismo alla Voyager, non ho visto invece cose indegne, ben sapendo che per un giornalista una notizia è comunque una storia da vendere, percui va bene che venga esposta nel modo più seducente possibile.



Quello che mi ha stupito (o forse no) un po' però e che la notizia, rimbalzando attraverso il web, ha piano piano perso gli autori. Io e i miei colleghi siamo piano piano diventati "dei fisiologi di Bologna" poi "dei ricercatori di Bologna" poi "dei ricercatori" poi "i ricercatori" ecc ecc.

E io mi chiedo, ma quando esce un nuovo film di (metto a caso) Spielberg, si legge forse sui giornali "Un regista americano ha fatto un film su questo e quello" invece del suo nome? Stesso cosa per i cantanti, i calciatori, gli attori, gli scrittori, perfino i cuochi (pardon, gli chef).
E allora perchè, dopo aver lavorato 2 anni ad una ricerca, io devo diventare "i recercatori"? Un ricercatore vale l'altro? Siamo intercambiabili? La ricerca si è fatta da sola e io l'ho solo scritta?

E pensare che secondo me è proprio la storia umana che c'è dietro ogni ricerca uno degli aspetti più belli della scienza: da dove è nata l'ispirazione, quali sono stati gli ostacoli, c'è stato un "Eureka moment"! E' anche questo che può ispirare le giovani generazioni ad amare la ricerca, identificarsi con un ricercatore nel processo che porta ad una scoperta.

Detto, questo, finisco questa mia e lascio ad un video (il veicolo mediatico più personalizzante)  queste stesse considerazioni, più alcune spiegazioni di cosa abbiamo in effetti fatto